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giovedì 16 aprile 2015

CAPITOLI XXI, XXII, XXIII, XXIV

CAPITOLO XXI

Il capitolo XXI è un capitolo fondamentale, di snodo sia per l'azione romanzesca sia per i temi trattati.
Per Lucia, la quale è nel palazzo dell'innominato, sembra che le cose stiano precipitando, ma colui il quale la tiene rinchiusa non è più quello di una volta: la Provvidenza Divina ha mandato nella casa di quest'uomo la persona che con le sue semplici parole, però provenienti dal cuore, è in grado di far emergere in lui il senso del disgusto verso la vita che aveva vissuto. Lucia vuole che dall'uomo vecchio nasca un uomo nuovo.
Con il rapimento di Lucia, quindi, la spannung (momento di max tensione) è stata raggiunta e la storia sembra stia per concludersi, ma improvvisamente accade qualcosa che le fa prendere un'altra strada.
Il messaggio che l'autore vuole mandare è quello della forza e del peso che la Provvidenza Divina ha sulla vita e sulle vicende umane. Secondo Manzoni, la vita è fatta di sofferenze, ma la grandezza di uomo sta nella capacità che esso ha di saper soffrire ( “Soffri e sii grande”: frase della tragedia scritta da Manzoni, intitolata “Adelchi”).
Dai pensieri e dalle parole dell'innominato, comprendiamo che si è già pentito di aver rapito Lucia, così decide di andare a farle visita nella sua stanza, in seguito, però ad un dialogo con il suo fedele bravo, il Nibbio. In questo colloquio si parla di compassione, della compassione che Lucia ha fatto al bravo, il quale la definisce 'come la paura' e i pensieri dell'innominato sono ancora quelli dell'uomo vecchio, infatti dice di non voler in casa Lucia. Così pensa di chiamare Don Rodrigo perché la venga a prendere, ma interviene quella 'voce segreta' che lo blocca.
L'innominato va da Lucia, la quale è rannicchiata in un angolo e le ordina più volte di alzarsi, rassicurandola che le avrebbe fatto del bene, ma senza alcun risultato. La protagonista dice all'uomo di aver patito le pene dell'inferno, intendendo tutte le vicende travagliate riguardanti il suo matrimonio con Renzo. L'uomo, però, capisce che lei abbia subito del male fisico, non del cuore. A questo punto la spannung comincia a sciogliersi, proprio grazie alle parole della giovine, la quale afferma che “Dio perdona tante cose per un'opera di misericordia” e chiederà all'innominato di accompagnarla in chiesa e che Dio avrebbe contato i suoi passi. Manzoni fa passare l'uomo molto, troppo repentinamente da uomo del male a uomo del bene perché necessita di trasmettere il suo messaggio, cioè che anche se una persona è insicura, ha in se, nel proprio cuore, quel senso di sicurezza, di certezza che è data dalla profonda fede in Dio e nella Vergine Madre. Manzoni affermando ciò, si riferisce a Lucia, la quale vede nell'innominato il suo cambiamento, il suo buon cuore.
L'innominato se ne va dalla stanza e per entrambi comincia una notte piena di tormenti.
Lucia passa una notte tormentata e tormentosa: ha paura, nostalgia per la madre, per Renzo ed è preoccupata. In questa condizione di dormiveglia cresce in lei l'angoscia, ma sa che per resistere ha la preghiera. Così pensa che se avesse fatto un'offerta, la sua orazione sarebbe stata più accettata: decide di fare un voto di castità, scegliendo di rinunciare a Renzo e restare vergine per sempre. Alla fine del romanzo si vedrà che il voto verrà cancellato perchè fatto in preda alla disperazione.
Contemporaneamente nella stanza dell'innominato ci si interroga su come mai Lucia abbia suscitato tanta compassione e si pente di essere stato a farle visita. Poi, però, si rende conto che non può essere stata la sola giovine a suscitare tutti quei sentimenti in lui: le parole di lei infatti, sono dettate dalla Provvidenza. Così prova a cercare un senso nella sua vita passata, e non trovandolo, cerca qualcos'altro, ma non riesce. Allora distoglie il pensiero da Lucia, la quale è richiusa da lui e il bene/male di questa persona non dipende dalla sua volontà.
L'innominato decide di liberare la protagonista, ponendosi l'interrogativo “Chi è Don Rodrigo?”. Quest'ultimo non è solo quel mediocre che conosciamo, quello che scommette con il cugino, quella nullità, ma non è nemmeno un 'amico'.
Ripensando all'incontro che aveva avuto con lui, si accorge che non solo Don Rodrigo non era riuscito a trovare delle scuse, ma non aveva nemmeno trovato ed esposto un motivo. Nel mezzo di tutti i turbamenti, l'innominato elabora anche un pensiero suicida che però cancella subito. Ad un tratto sente il suono delle campane a festa e vede dalla sua finestra, un gruppo di persone che si dirigono verso la chiesa: in paese si aspetta la visita del Cardinale Federigo Borromeo.

CAPITOLO XXII- XXIII

L'innominato prende la decisione di andare a vedere il cardinale, suscitata dalla voce della coscienza.
Nel capitolo XXIII l'equilibrio si ricostituisce e torna in scena Don Abbondio, il quale non è cambiato, è sempre lo stesso.
Nel frattempo l'innominato è arrivato in parrocchia, dove ci sono tutti i parroci delle vicinanze e chiede, per una sua smania, all'assistente di Borromeo, di poter essere ricevuto dal cardinale. L'assistente ci viene presentato come un uomo ottuso, che prende seriamente il suo lavoro, ma che non capisce fino a dove arriva questo. Così va dal cardinale ad avvisarlo, però cerca di dissuaderlo, però Borromeo è felicissimo che l'innominato abbia chiesto una visita. Così i due si incontrano, ma si rivela un momento molto difficile per entrambi, i quali, inizialmente, restano in silenzio, avendo paura di parlare perché se avessero detto qualcosa di sbagliato, avrebbero potuto compromettere tutto. Sarà il cardinale a rompere il silenzio e dimostrerà all'innominato che comunque si può sbagliare: l'errore compiuto da Borromeo è quello di aver aspettato la richiesta di un incontro dall'altro, invece di andare lui stesso a chiederlo. Quindi il cardinale sostiene che non ci si deve vergognare dei propri errori, ma si deve essere in grado di ammetterli.
L'innominato presenta il suo problema a Borromeo, il quale fa chiamare il parroco del paese di Lucia, Don Abbondio, perché aveva capito che la giovine aveva bisogno di vedere volti famigliari, e gli affida dei compiti fondamentali: lo mandano, cioè, assieme all'innominato al suo castello.
Contemporaneamente il cardinale cerca qualche donna che andasse a prendere Lucia per riportarla a casa e che la assistesse durante il viaggio.
Però c'è il bisogno di avvisare Agnese di tutto ciò, così Don Abbondio, che ha una paura terribile di andare dall'innominato, dice una bugia.
A questo punto il capitolo ci propone un soliloquio che il prete elabora durante il viaggio al catello, dove il quadro della sua personalità si chiude quasi completamente ( il soliloquio continuerà in piccolo parte nel capitolo successivo ) e nel quale l'immagine iniziale di “scansare i ciottoli lungo il sentiero” è sempre presente. Nel soliloquio Don Abbondio pone sullo stesso piano Borromeo, l'innominato e Don Rodrigo: per lui santi e birboni sono la stessa cosa, infatti tutti non amano il quieto vivere (amato invece dal lui) e vanno a disturbare quelli che vivono quietamente, ad esempio lui. Inoltre critica anche la povera Perpetua.
Durante il viaggio il prete è circondato dai bravi dell'innominato, che li definisce senza scrupolo e misericordia, perché ha paura di loro. Infatti dice: “Li avessi maritati! Non mi poteva capitare di peggio!”.
All'andata Don Abbondio, immerso nei suoi pensieri, non si accorge che la mula aveva una caratteristica particolare, cioè quella di camminare verso lo strapiombo e non verso il dorso della montagna. Si accorgerà di ciò solo al ritorno, quando è più tranquillo, ma questo piccolo dettaglio per lui diventerà uno strapiombo.

CAPITOLO XXIV

Per Don Abbondio, il quale affiderà ad Agnese le chiacchiere di tutto l'avvenimento, il problema è Don Rodrigo. Riflessioni molto tristi vengono messe in bocca al prete, ed esempio dice che chi fa del bene lo fa all'ingrosso, ma chi fa del male, non si ferma, cioè l'azione benevola termina ad un certo punto, ma quella maligna va fino in fondo.
Nel frattempo, arriva al paese, assieme a Lucia e Don Abbondio fa i complimenti all'innominato, al quale dice di porgere le sue scuse al cardinale: il prete è talmente indispettito che se ne va senza nemmeno salutare personalmente Borromeo.

Zanini Dalila


lunedì 30 marzo 2015

Capitoli XVIII – XIX – XX

Il diciassettesimo capitolo si conclude con una spiegazione da parte del cugino di Renzo, Bortolo, sulle dinamiche della vita a Bergamo e sulle usanze dei bergamaschi.
Il capitolo seguente ha la funzione di raccordare i precedenti capitoli con quelli successivi.
I paesani di Lecco nonché Fra Cristoforo, vengono a conoscenza dei fatti riguardanti Renzo e le recenti rivolte in Milano, a causa di un mandato d’arresto nei confronti di quest’ultimo. Quindi la scena torna su Don Rodrigo, contento dell’accaduto e della situazione imbrigliata del giovane sposo, ma combattuto sul da farsi. Don Rodrigo, infatti, aveva scoperto dov’era nascosta Lucia, ma era anche al corrente delle difficoltà che avrebbe incontrato nell’appoggiare il gioco del conte Attilio, dunque si ritrova ad affrontare il suo debole carattere che lo porta ad avere notevoli difficoltà nel prendere decisioni. Decide, allora, di affidarsi ad un signore molto potente.
Nel frattempo Lucia rafforza il suo rapporto con Gertrude mentre Agnese decide di andare in paese alla ricerca di notizie su Renzo e Fra Cristoforo, scoprendo che il frate era stato trasferito a Rimini.
Don Rodrigo, infatti, aveva parlato a suo cugino degli inconvenienti che già più di una volta gli avevano impedito di ottenere ciò che voleva, così il conte Attilio si affida al potente “conte zio” il quale interviene convocando per un pranzo il padre provinciale dei Cappuccini. Questi non difende tanto fra Cristoforo, quanto l’ordine religioso in generale. Arrivano, alla fine, ad un accordo basato su uno scambio: il trasferimento del frate per una cospicua donazione in denaro al convento.  
Per raccordare ancor meglio il tutto, il narratore sposta la scena a Pescarenico dove il padre guardiano riceve la notizia del trasferimento di Fra Cristoforo. Il padre guardiano, però, decide di non comunicare subito la notizia a fra Cristoforo ma aspetta la mattina seguente, in modo da cogliere di sorpresa il frate così che non possa concludere i suoi affari che potrebbero procurare problemi all’intero convento.
Come detto in precedenza, Don Rodrigo decide di chiedere aiuto ad un uomo molto potente, definito da Manzoni attraverso l’uso solo di un attributo: innominato. Di quest’ uomo, l’autore, ci parla della sua tendenza alla violenza sin da giovanissimo; non ci lesina, però, particolari sulla sua violenza. Nonostante ciò, per noi risulta impossibile non cogliere la solitudine e il senso di dipendenza dalla società a cui è sottoposto. L’innominato ha vicino a sé solo persone interessate alla sua posizione sociale, sono lì non come veri amici ma solo per debito o per favori. È solo, perché con le persone che gli sono attorno ha un rapporto utilitaristico, basato principalmente sulla prepotenza.
In questi ultimi capitoli Manzoni ci fa appunto riflettere sulla solitudine dell’uomo e su come l’uomo solo non riesca a far niente. In questa categoria di persone si trova anche Don Rodrigo. Egli, verso i primi di dicembre, si decide a rivolgersi all’innominato e intraprende la strada che lo porterà al castello gotico del signore. I due sono molti diversi per molti aspetti: uno, l’innominato, è robusto fisicamente ed è grande sia nel male ma anche nel bene; l’altro, Don Rodrigo, è solamente un uomo mediocre.
Dopo una breve parte descrittiva del “castellaccio” dell’innominato, Manzoni ci descrive le azioni e i comportamenti di Don Rodrigo; si tratta di una scena che ricorda molto il terzo capitolo, quando Fra Cristoforo fa visita alla dimora del signorotto, ma tutto viene proposto più in grande. Salito in cima al colle dove è situato il castello, finalmente può essere ricevuto. Inizia, quindi, il dialogo tra i due. Don Rodrigo deve salvare il suo onore: non può ritirarsi, così fa sembrare l’impresa più difficile di quanto non lo sia realmente. L’innominato lo ferma subito e accetta senza esitazione l’incarico. Non appena lasciato solo, però, iniziano le tribolazioni del suo animo, si risvegliò dentro di sé un certo fastidio, un rimorso per tutte le azioni che aveva compiuto nella sua vita. Temeva non tanto il dover fronteggiare la morte, quanto il fatto che la morte stessa sarebbe prima o poi arrivata e con lei anche la religione e il suo adempimento.
In questo momento la solitudine ha il soppravvento sull’uomo.
La parte finale del capitolo, invece, ci propone una parte cruciale del romanzo: il rapimento di Lucia.
Egidio, infatti, era al servizio dell’innominato e riesce a convincere la sua amante, Gertrude, ad ingannare Lucia.
Assistiamo, allora, al tradimento e al sacrificio dell’innocente contadina. Uscita dal convento viene rapita da tre bravi che la caricano su una carrozza per portarla presso il castello dell’innominato dove una servitrice cercherà di rendere meno traumatico possibile l’arrivo della giovane.
L’innominato decide di non consegnare subito Lucia a Don Rodrigo teme, infatti, la morte come mai prima di allora e sente dentro di sé il risvegliarsi della voce della coscienza.
 
 
Lorenzo Zanet

martedì 3 febbraio 2015

Link

Salve ragazzi e ragazze, vi invio l'indirizzo di cui vi parlavo oggi: www.memoriaeimpegno.it

MC

sabato 27 dicembre 2014

APPUNTI PROMESSI SPOSI CAPITOLI 9 E 10

CAPITOLO 9

Si continua con la vita di Gertrude che, nell’adolescenza viene portata in un convento per essere istruita (i nobili mandavano le figlie a studiare nei conventi). Là, incontrando alcune coetanee, scopre che lei non ha più quell’aria di dominazione che aveva in famiglia, ma al contrario era un po’ sottomessa, messa al di sotto delle altre ragazze. Gertrude pensa quindi che, siccome nel convento si deve far monaca con il suo consenso, basta con non acconsenti (dato che lei non voleva andarci). Ma non sarà così. La fede però poteva essere un aiuto per Gertrude, ma per come le era stato insegnato (ovvero avere dei privilegi nella vita terrena) non poteva essere il suo vero aiuto.
Gertrude, di conseguenza, scrive una lettera al padre, ma questa lettera è molto sincera e inopportuna.  Questa lettera poi la prenderà la badante del convento, che la consegnerà al padre. Gertrude viene quindi mandata a casa, sentendosi nella più completa solitudine e freddezza. È il momento più tragico della sua vita (in questo passo, si scopre la conoscenza di Manzoni della psicologia umana). Il principe (il padre) legge la lettera e si arrabbia molto con la figlia: quest’ultima si sente in colpa e vive i successivi 4 giorni nella reclusione di una stanza, completamente sola. In quest’occasione Gertrude pensa che abbia bisogno di essere trattata diversamente. Scrive quindi un’altra lettera al padre, questa volta di scuse e di perdono. Si scopre un altro stile di Manzoni: i termini all’inizuio e alla fine del periodo appartengono allo stesso campo semantico.

CAPITOLO 10

Il capitolo si apre con una riflessione del narratore onnisciente: “l’animo dei giovani è come un fiore che sboccia, ha un fragile stelo che, alla prima folata di vento, si spezza”.
Nella lettera di scuse di Gertrude, il padre vede il modo con cui comandare la figlia a fare ciò che vuole lui. Questo si capisce dal fatto che Gertrude si trova sempre a dire sì e, quindi acconsente di ritornare in convento. Il padre cerca in tutti i modi di falsificare la realtà, per far in modo che la figlia segua quello che vuole lui, con delle minacce velate, tipo “devo infierire sulla mia condotta” oppure “avrò una figlia che sarà trattata male per non essere andata in convento”.  Detto questo, Gertrude si trova a dire di nuovo sì, per ben 2 volte: il sì al padre di ritornare al convento e il sì all'esame per essere ammessa al convento.

Mario

domenica 21 dicembre 2014

Appunti del capitolo 9 dei promessi sposi

Il barcaiolo fa approdare all'altra sponda i fuggitivi Renzo, Lucia e Agnese, dove li aspetta un carro che li porterà fino ad un osteria per rifocillarsi.
dopo aver passato lì la notte, le strade dei tre si separano: Renzo si incammina verso milano; mentre Agnese e Lucia si dirigono verso il convento dei cappuccini.
La sequenza narrativa iniziale si sofferma su quello che accade alle due donne.
Entrano in scena due figure provvidenziali, che rappresentano quegli uomini che agiscono per volontà di Dio (operano per il bene) non per un tornaconto personale: il marinaio e il carrocciaio.
Il padre guardiano, amico di Fra Cristoforo, ritiene che l'unica soluzione possibile sia la "signora", una monaca che all'interno del monastero conta molto, che può fare e dire quello che  vuole perché suo padre è un principe.
La descrizione della monaca di Monza (personaggio ispirato ad una storia veramente accaduta, come l'illuminato) inizia esprimendo la bellezza come lo specchio dell'anima, ma anche la perfezione. La sua bellezza viene descritta come una bellezza sbattuta, sfiorita, quasi scomposta. I suoi occhi esprimono stati d'animo diversi, da una parte l'affetto, dall'altra un odio inveterato e compresso (che è lì da tanto tempo e non si può far uscire). Gli occhi fissi e uno sguardo perso nel vuoto che esprimono svogliatezza, mentre le gote pallidissime con un contorno reso mancante da una lenta estenuazione (linea del contorno allentata come fosse estenuata da un tormento che non le dà pace).
Dopo questa descrizione sulla monaca di Monza inizia il colloquio tra quest'ultima, il padre guardiano, Lucia e Agnese. Il padre guardiano parla per conto di Lucia e Agnese, il quale le dice che a Lucia  serve un asilo nel quale possa vivere sconosciuta per sottrarsi da dei gravi pericoli. La monaca vuole sapere cosa succede fuori, ma il padre guardiano gli racconta poco. Ci pensa Agnese ad interrompere il padre e a raccontare la vicenda, ma la monaca non le crede molto, vuole sentire parlare Lucia. Lucia molto intimidita conferma ciò che ha detto la madre e con lei la signora assume un tono più addolcito. Il padre guardiano e Agnese vengono congedati mentre Lucia rimane con la signora.
Prima che la storia riprenda c'è un interruzione narrativa in cui viene raccontata la storia della monaca. Nella nobiltà, ossia nella classe improduttiva, tutto veniva ereditato dal primogenito, mentre i cadetti (secondogeniti) venivano mandati in convento. Il cosiddetto "padre padrone" decideva lui il futuro dei figli secondogeniti. Per questo il destino di Gertrude era già segnato da prima della sua nascita. Non le viene prospettata un'altra vita che non sia quella del chiostro, infatti lei pensa proprio quale possa essere il suo futuro. Le parole del padre fanno presa più di tutte le altre messe assieme. Questo padre uomo è un padre austero, chi sui figli sente il diritto di esercitare il potere decisionale (ombrosa gelosia di comando).
A sei  Gertrude viene collocata in convento per essere educata, ma anche per l'instradamento per la vita futura.

lunedì 15 dicembre 2014

Appunti Capitoli 7-8 Promessi Sposi

Siamo alla sera del 10 novembre. Intorno alla casa di Lucia e Agnese ronza della gente, i bravi mandati da Don Rodrigo che ha ordito il rapimento di Lucia per quella sera, detta "la notte degli imbrogli". A parte ciò, nella città si sente un'atmosfere tranquilla, don Abbondio è a casa sua che legge un libro e per la città tutto è come deve essere. 
Viene spiegato il piano degli sposini e dei complici: Agnese distrae Perpetua parlandole di voci che girano su di lei e pian piano la porta fino in un vicoletto da dove non si può vedere la casa del curato, mentre gli altri, cioè Renzo, Lucia e i testimoni entrano furtivamente nella dimora. Il gruppo entra di corsa nella stanza di don Abbondio, Renzo dice la frase di rito mentre Lucia viene scaltramente bloccata dal curato, che la avvolge nella tovaglia della tavola. Nella stanza del curato succede di tutto: Lucia rimane pietrificata dalla paura, Don Abbondio che cerca di andare alla porta e gli altri che fanno caos. 
Intanto Manzoni ci propone una riflessione (rr. 139-145): una riflessione universale che spiega da differenza tra l'apparenza e il reale: non sempre la realtà è come ci viene mostrata (ad esempio viene messo in risalto che la chiesa, o più precisamente la figura di don Abbondio, crolla e si ridimensiona, per il fatto che "presti" i soldi o dal modo in cui si è rivolto a Tonio). Infatti vuole che il popolo prenda più consapevolezza dei propri oppressori, e vuole dare il suo contributo offrendo "L'interessante" come spunto per riflessioni (è l'unico modo che aveva per aiutare la comunità, dato che soffriva di agorafobia). 
Ritornando alla narrazione, Don Abbondio si affaccia alla finestra per chiedere aiuto, e viene sentito dal sagrestano (r. 155-ss.), un personaggio del tutto secondario e anche "grottesco", il quale, per non immischiarsi in affari che non lo riguardano, suona le campane a martello, segno di emergenza per la comunità, svegliandola interamente. Fortunatamente i bravi, sentito il suono delle campane, scappano e ritornano da Don Rodrigo a mani vuote. Il gruppo viene a sapere dell'intrusione dei bravi grazie a Menico, che di ritorno da Pescarenico passa davanti alla casa di Agnese e Lucia e li vede. 
Il capitolo si chiude con una sequenza, non narrativa o descrittiva, ma "lirica", ricca di pathos, pronunciata da Lucia mentre insieme a Renzo e Agnese scappa in barca. Questa lirica, estrapolata dal contesto in cui giace, è proprio bella, ma inserita nelle parole di Lucia si sente un certo stridore, dato dal fatto che Lucia non userebbe mai un registro linguistico del genere.

mercoledì 19 novembre 2014

Capitoli 5° 6° e parte del 7°



Fra Cristoforo ansioso si reca da Lucia. Arriva nella sua casa e ascolta la vicenda. Arriva anche Renzo. Fra Cristoforo e Renzo hanno dei tratti di carattere simili, perché entrambi mal sopportano i prepotenti.  La differenza dei due è data dall’esperienza della vita, dall’età e dal ruolo che occupano nella società.
Una volta, finito di ascoltare il racconto di Lucia e Agnese Fra Cristoforo prende una soluzione coraggiosa, va direttamente nel palazzo di Don Rodrigo.
La descrizione del palazzo di Don Rodrigo illustra il gusto del tempo. Manzoni in questa sequenza richiama il contesto dell’orrido, del gotico. La descrizione ha una funzione ideologica, perché nell’orrorosità, nella decadenza della abitazione Manzoni richiama anche la decadenza del carattere della morale di chi lo abita. Lo scrittore scrive che l’abitazione è un luogo che fa venire i brividi, incuta terrore. Tutto intorno (l’impatto con le creature morti che sono penzoloni ai lati dell’ingresso) ha la funzione di incutere terrore, quasi a dissuadere. 
Quando Fra Cristoforo ha suonato il campanello è arrivato un vecchio servitore ad aprire la porta. E’ un personaggio secondario, rappresenta un’aiutante e quando apre la porta e vede Fra Cristoforo si meraviglia e pensa che Fra Cristoforo è vento a fare del bene. Anche nella dimora del male, il bene trova suo spazio.
Nel palazzo di Don Rodrigo si sta svolgendo un banchetto al quale è presente anche Don Attilio e il Dottor Azzeccagarbugli. In questo consesso Don Rodrigo e conte Attilio giocano sporco, vogliono mettere in difficoltà Fra Cristoforo, che cerca di mantenere la calma, fanno delle pesanti allusioni al suo passato.  Inizia il dialogo tra i due che si può definire il duello verbale molto acceso. Don Rodrigo si trova a casa sua, un luogo per lui sicuro e quindi può permettersi di rivolgersi a Fra Cristoforo con un tono e con gesti che sono senza rispetto ma con le parole che potrebbero esprimere obbedienza.
Dopo la conversazione Fra Cristoforo se ne va in tempesta, ha fatto riemergere Ludovico, e viene seguito dal servitore che li chiede un appuntamento perché vuole darli delle informazioni importanti.
Nel frattempo a casa di Lucia Agnese non si da per vinta e trova la soluzione del matrimonio per sorpresa. Un matrimonio in cui non è necessario che parroco sia con sapiente, importante che ci siano dei testimoni. Renzo li cerca e nella loro scelta mostra la sua intelligenza, perché sceglie una persona che conosce bene e di cui si può fidare, una persona che può accettare la richiesta perché può trovare un tornaconto personale e che può trovare il secondo testimone. Renzo sceglie Tonio che è il suo amico fidato e che ha un debito con Don Abbondio (che è anche un usuraio). Renzo da dei soldi a Tonio in modo che lui può riscattare la collana della moglie. Tonio si fa accompagnare dal suo fratello Cervaso che fa tutto quello che li dice. In questo modo Renzo e Lucia possono entrare nella casa del curato. 
                                                                                              Kseniya Lyulchak